ESCLUSIVO – “L’uccisione di Soleimani illegale, finora gli Usa non hanno provato che rischiavano un attacco imminente”: TPI intervista la relatrice speciale Onu sui diritti umani
"Uccidere per legittima difesa è consentito come ultima misura, per proteggere la vita propria o degli altri. Gli Stati Uniti dovrebbero dimostrare di aver riscontrato una minaccia imminente per le vite degli altri e che, per proteggere quelle vite, non c'era altra scelta che quella di usare la forza letale. Finora, nessuna giustificazione del genere è stata dimostrata". Parla Agnès Callamard, relatrice speciale delle Nazioni Unite per le violazioni dei diritti umani
La relatrice Onu sui diritti umani: “L’uccisione di Soleimani è illegale”
“L’uccisione mirata del generale Qasem Soleimani è il primo caso di un attacco di droni contro il rappresentante di una forza armata di Stato. Fino ad ora, tutte le uccisioni attraverso droni di cui sono a conoscenza avevano preso di mira bersagli non statali, in particolare individui associati ad atti di terrore”. Così esordisce Agnès Callamard, relatrice speciale delle Nazioni Unite per le violazioni dei diritti umani, raggiunta da TPI per un’intervista esclusiva. E aggiunge: “Ci tengo a sottolineare che il mio mandato consiste nell’esaminare le situazioni di omicidi arbitrari. I miei predecessori hanno già lavorato su questi temi e sono circa 10 anni che lavoro sull’argomento, con due importanti rapporti incentrati esclusivamente sui resoconti nazionali di assassini mirati”.
Per quanto riguarda la legalità dello strike degli Stati Uniti contro il generale Soleimani, le informazioni rese disponibili dalle autorità statunitensi non ci consentono, a mio avviso, di dire che l’omicidio fosse legale secondo il diritto internazionale.
Affinché sia legale, un attacco di droni deve soddisfare i requisiti legali previsti da tutti i regimi legali internazionali applicabili, vale a dire: la legge che regola l’uso della forza tra Stati (ius ad bellum), il diritto internazionale umanitario (ius in bello) e il diritto internazionale dei diritti umani (Ihrl). Ritengo che, di per sé, lo ius ad bellum non sia sufficiente a guidare l’uso della forza extra-territoriale ma che si applichino altri principi giuridici.
Le giustificazioni avanzate dagli Stati Uniti si sono concentrate in gran parte sulle attività passate di Soleimani e sui gravi crimini di cui è ritenuto responsabile. E ci sono molte prove che collegano Soleimani a gravi violazioni dei diritti umani in Iran, Siria, Iraq e in altri Paesi. Ma in base al diritto internazionale il suo passato coinvolgimento in violazioni dei diritti umani o in atti di terrore non è sufficiente a rendere lecito il suo omicidio.
Certo. Autorizzare l’uccisione programmata e mirata di tali violatori dei diritti umani può sembrare a molti nel mondo ben giustificata. Ma non è così. Se iniziamo a bombardare persone senza rispettare le leggi internazionali riusciremmo a fermarci? Chi ha il potere decisionale di usare questa violenza nei confronti di un uomo e chi lo ha di lasciarlo libero di vivere? E, soprattutto, chi decide chi dovrebbe essere preso di mira? Esistono molti, troppi, violatori dei diritti umani in tutto il mondo, alcuni dei quali sono capi di Stato, altri supportati dagli Stati Uniti o da altri governi. Dobbiamo accettare che qualsiasi Paese con il potere e gli strumenti avanzati adeguati per eseguire uccisioni con droni o mirate possa procedere in qualsiasi momento, a discrezionalità, per colpire chiunque venga considerato una minaccia per i loro interessi?
Secondo l’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale consuetudinario, uno Stato può invocare l’autodifesa in risposta a un imminente attacco armato. L’autodifesa non può essere invocata per prevenire l’insorgere di una minaccia in futuro, né può essere invocata come ritorsione per eventi passati. La minaccia deve essere presente, istantanea e non lasciare altra scelta che colpire.
Bisogna analizzare l’uccisione di Soleimani dal punto di vista del diritto internazionale. È, a mio avviso, il quadro principale attraverso il quale dovrebbe essere valutato l’uso extra-territoriale della forza, indipendentemente dal fatto che gli Stati Uniti si considerino vincolati da esso o meno. Riaffermare il primato del diritto internazionale in questi periodi di crisi è un dovere solenne e fondamentale della e per la comunità internazionale. Gli Stati Uniti dovrebbero quindi dimostrare che: a) era in programma un imminente attacco armato; b) l’uccisione del generale Soleimani ha impedito un attacco così imminente; e c) uccidere il generale Soleimani era l’unico modo per prevenire tale attacco. Finora gli Stati Uniti non hanno fornito prove sufficienti per dimostrare questo.
Vede, secondo il diritto internazionale dei diritti umani, è improbabile che l’uccisione mirata di Soleimani sia lecita. In un quadro di polizia, uccidere per legittima difesa è consentito come ultima misura, per proteggere la vita propria o degli altri. Gli Stati Uniti dovrebbero dimostrare di aver riscontrato una minaccia imminente per le vite degli altri e che, al fine di proteggere quelle vite, non c’era altra scelta che quella di usare la forza letale. Finora, nessuna giustificazione del genere è stata dimostrata.
Non posso rispondere a questa domanda per il ruolo che rivesto nelle Nazioni Unite. Ma posso dirle che i rapporti dei media sul briefing al Congresso hanno suggerito che erano state presentate poche prove. Anche la lettera inviata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è molto vaga e non risponde alle domande precedenti.
Questo aspetto è di notevole importanza e grave. Mi dica in che modo gli Stati Uniti potrebbero giustificare le uccisioni di altre cinque persone che viaggiavano con Soleimani o a piedi intorno alla sua auto al momento dell’attacco dei droni? Secondo la legge sui diritti umani non esiste altro modo per descrivere tali morti se non come privazioni arbitrarie della loro vita. Il che dovrebbe comportare una certa responsabilità dello Stato americano e responsabilità penale individuale di chi ha deciso ciò.
Senza dubbio stiamo vivendo un momento di grave instabilità, il risultato di molte forze che si spostano dal cambiamento climatico alla rivoluzione digitale. Il sistema globale di relazioni internazionali sta subendo una riconfigurazione con due, probabilmente tre, Stati che cercano di (ri)affermare la loro superpotenza globale. Le tensioni tra loro si stanno manifestando in molti modi diversi, uno dei quali è evidente nelle lotte regionali attraverso attori delegati. Soprattutto, sembra che questa riconfigurazione del sistema globale si stia trasformando in tentativi di trasformare le regole stabilite all’indomani della seconda guerra mondiale, comprese quelle relative all’uso della forza.
Non posso rispondere a questa domanda. Mi spiace. Proprio per la funzione che rivesto presso l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite.
Non buona. Il quadro normativo per la governance globale, compresa la pace e la sicurezza, e le istituzioni istituite per sovrintenderne l’attuazione, vengono sempre più ignorati o messi in discussione. I rischi sono molto elevati, in particolare per le persone dei paesi che sono diventati per procura il teatro di queste trasformazioni.
Al centro di questa grave domanda c’è la più profonda: che tipo di sistema giudiziario globale dovrebbe governare tali decisioni? Quale sistema vogliamo attuare sul campo? E soprattutto: come possiamo creare il giusto processo, affinché la giustizia effettiva sia distinta dalla vendetta? Noi facciamo il possibile. Ma un Paese che persegue i propri interessi, agendo da solo senza alcun riferimento a un qualsiasi processo o sistema legale, non importa quanto gravi siano le provocazioni, porta inevitabilmente questo percorso a uno stato di guerra permanente e instabilità piuttosto che alla giustizia e alla pace.